Guida alla Cromatografia Convergente per Principianti

Guida alla Cromatografia Convergente per Principianti

Introduzione

Introduzione

Sviluppo della Cromatografia Convergente

1.1 La cromatografia convergente (CC) è una tecnologia di separazione che utilizza la CO2 compressa come solvente principale nella fase mobile cromatografica, a pressioni comprese tra 100 e 400 volte la pressione atmosferica. La CO2, il più delle volte, viene miscelata con co-solventi liquidi (per esempio metanolo, etanolo, isopropanolo, acetonitrile) per modulare le proprietà della fase mobile, in modo simile alla miscelazione di questi co-solventi con l’acqua per modulare le proprietà della fase mobile della cromatografia liquida in fase inversa (RPLC). Chi ha dimestichezza con la versione moderna della cromatografia a fluido supercritico (SFC) noterà immediatamente la somiglianza tra la CC e l’SFC. In realtà la CC è una versione rinominata dell’SFC moderna. Per capire cosa intendiamo, è necessario dare uno sguardo alla storia dello sviluppo dell’SFC, cosa che faremo nei seguenti paragrafi.

L’SFC è stata inventata come tecnica cromatografica che impiega solventi in condizioni supercritiche per espandere la capacità della gascromatografia (GC). Per risolvere il problema dell’analisi di composti che eluiscono solo ad alte temperature, ma che si decompongono termicamente a tali temperature, Klesper e co-ricercatori hanno utilizzato pressioni più elevate nella GC per compensare il requisito delle temperature elevate. Sono state selezionate condizioni supercritiche per (a) il potere di solvatazione di un gas ad alta pressione e per (b) evitare condizioni in cui le fasi mobili non fluiscono più come un singolo solvente (soggette a separazione di fase gas-liquida) variando la pressione, la temperatura o entrambe. In seguito hanno scoperto che variando la densità del solvente è possibile modularne l’intensità, il che rappresenta il principale vantaggio di lavorare in condizioni supercritiche. Poiché i liquidi sono altamente comprimibili in condizioni supercritiche, anche variazioni minime di pressione modificano notevolmente la densità dei solventi e, di conseguenza, la ritenzione degli analiti. In effetti, è possibile creare un gradiente di solvente variando la pressione operativa che porta alla modulazione della densità, eliminando la necessità di miscelare co-solventi organici per creare un gradiente. Questa possibilità di una singola modalità di separazione dei solventi non tossici ha suscitato notevole interesse ed entusiasmo tra gli analisti.

Tuttavia, l’entusiasmo ha avuto vita breve in quanto pian piano si è capito che la modulazione della densità, per quanto utile sia una tecnica, potrebbe non modificare la polarità del solvente in modo tale da essere ampiamente applicabile alla gamma di composti che possono essere separati da altre efficaci tecniche cromatografiche come la cromatografia liquida in fase inversa (RPLC). Il nocciolo della questione è che la CO2, che si è evoluta come miglior solvente possibile per l’SFC, rimane un solvente non polare anche con una significativa modulazione di densità. Per separare la maggior parte degli analiti polari è quindi necessario aggiungere co-solventi polari, ad esempio il metanolo. Questa consapevolezza ha cambiato il corso dello sviluppo dell’SFC. Anche se molte applicazioni importanti si basano ancora sulla sola modulazione di densità, gli esperti dell’SFC hanno iniziato a fare più affidamento sulla miscelazione di additivi e co-solventi organici liquidi, proprio come nell’RPLC, per ottenere la separazione di una varietà di analiti più ampia.

La CO2 è completamente miscibile con solventi molto polari (per esempio il metanolo, l’etanolo, l’acetonitrile) e gradienti di solvente che raggiungono composizioni di modificatori molto elevate (per esempio del 60%) vengono impiegati in routine. Tali pratiche hanno sollevato ripetute domande sulla supercriticità della fase mobile. A concentrazioni di modificatori più elevate e a temperature e pressioni generalmente utilizzate per l’SFC, la fase mobile non è supercritica per la maggior parte della durata del metodo. E, cosa più importante, tali deviazioni dalle condizioni supercritiche non fanno alcuna differenza nella cromatografia. Perché allora una tecnologia, che non dipende dal raggiungimento di una condizione supercritica da parte del solvente, dovrebbe ancora essere nota come “cromatografia a fluido supercritico”? È stato suggerito di denominare diversamente la versione moderna dell’SFC, per esempio: “cromatografia a fluido sub/super-critico”, “cromatografia a fluido semplificato”, “separazioni facilitate da anidride carbonica” o semplicemente con il relativo acronimo SFC, ma nessuno rende giustizia all’ambito esteso del suo uso corrente nei laboratori di chimica analitica.

Oltre alla confusione relativa alla sua identità, l’SFC ha dovuto affrontare anche gravi difficoltà tecnologiche che hanno impedito di impiegarla seriamente come strumento analitico. La robustezza e la riproducibilità del metodo erano scarse perché gli strumenti più datati non erano in grado di gestire un solvente comprimibile come la CO2 in modo affidabile e ripetuto, almeno alla pari dei moderni strumenti HPLC o UPLC.

Tutto è cambiato quando, nel 2012, Waters Corporation ha introdotto la cromatografia convergente UltraPerformance (UPC2) (vedere la Figura 1) per risolvere sia i problemi strumentali che di denominazione. Con la robustezza significativamente superiore degli strumenti, che verrà discussa più approfonditamente nel capitolo 3, e un nuovo nome per distinguerla dalle tecnologie precedenti, l’SFC è diventata finalmente un’opzione valida per gli studi analitici.

Figura 1. Sistema ACQUITY UPC2.

Che Cosa Significa il Termine “Convergente” nella Definizione Cromatografia Convergente?

Il termine “convergente” di Cromatografia convergente è stato preso in prestito dall’osservazione di Giddings di avere una tecnologia in grado di far convergere le tecnologie cromatografiche esistenti, vale a dire la GC e la cromatografia liquida (LC), in un unico sistema. Giddings ha descritto l’SFC come una tecnica per collegare l’LC e la GC, così come per estendere l’uso delle fasi mobili oltre i limiti della supercriticità. Ora la cromatografia convergente viene utilizzata più spesso con co-solventi organici che abbracciano entrambe le regioni super- e sub-critiche, espandendosi oltre la modulazione di densità limitata dell’SFC con la sola CO2. Anziché limitarsi a colmare il divario tra la GC e l’LC, il potenziale dell’SFC è molto maggiore di quanto previsto in origine.

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